Idrogeno: una molecola fraintesa

Tutti parlano di idrogeno colorato (verde, grigio, blu..): ma che differenza c'è? E oggi si può parlarne come vettore o come fonte? Un articolo per fare un po' di chiarezza

Date:
27 July 2023

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L’idrogeno, l’elemento più semplice e leggero della tavola periodica (nonché di gran lunga il più comune nell’universo), sta diventando uno dei più caotici e fraintesi elementi della transizione energetica.

Si parla di idrogeno colorato, di idrogeno come nuova fonte di energia, di idrogeno come panacea di tutti i mali, di idrogeno come combustibile perfetto. Di idrogeno parlano – spesso a sproposito – le aziende, le amministrazioni pubbliche, i rappresentanti delle istituzioni, i decisori politici: è uno strumento certamente efficace per ripulire l’immagine nei confronti dell’opinione pubblica.

Quello che spesso manca, tuttavia, è la chiarezza.

I colori dell’idrogeno

Cominciamo dai colori. O meglio: cominciamo col dire che l’idrogeno non ha colore. E che la molecola, H2, è sempre la stessa a prescindere da come viene prodotta. Dove sta quindi la differenza?

La classificazione per colori, peraltro lungi dall’essere uniforme e coerente, è una semplificazione basata sulla fonte primaria di energia da cui l’idrogeno viene prodotto e/o sul metodo stesso di produzione. Proviamo a fare un po’ di ordine:

  • per idrogeno grigio si intende quello prodotto dai combustibili fossili: dal gas naturale mediante i processi di steam reforming, dal carbone attraverso la gassificazione o come sottoprodotto di alcuni processi di raffinazione del petrolio (iniziamo a complicare le cose: alcuni chiamano grigio solo l’idrogeno prodotto dal gas naturale);
  • per idrogeno marrone si intende spesso quello prodotto dal petrolio, come sottocategoria dell’idrogeno grigio (ma alcuni chiamano così l’idrogeno prodotto dal carbone);
  • per idrogeno nero, viceversa, si intende generalmente quello prodotto dal carbone (o, secondo alcuni, dal petrolio);
  • l’idrogeno blu è, di fatto, analogo all’idrogeno grigio: è sempre prodotto da fonti fossili, ma in questo caso con la separazione di buona parte (in genere attorno al 90-95%) della CO2, al fine di ridurne l’impatto sul clima;
  • l’idrogeno verde è quello prodotto, in termini generali, da fonti rinnovabili: da energia elettrica e acqua tramite l’elettrolisi, dalla gassificazione delle biomasse o dallo steam reforming del biometano (esattamente come per l’idrogeno da gas naturale: cambia solo l’origine del gas); tralasciamo, per semplicità, le varie tonalità di verde proposte da qualcuno;
  • l’idrogeno giallo, secondo alcuni, è quello prodotto da energia elettrica fotovoltaica, di fatto una sottocategoria dell’idrogeno verde; ma molti chiamano giallo l’idrogeno prodotto per elettrolisi, da energia nucleare o anche acquistando energia elettrica dalla rete (a prescindere dal fatto che questa sia rinnovabile o meno);
  • per idrogeno turchese si intende quello prodotto dalla cosiddetta pirolisi del gas naturale: si scinde la molecola in idrogeno e carbonio, quest’ultimo poi separato allo stato solido; è un po’ blu (si parte dal gas naturale, che è una fonte fossile) e un po’ verde (nessuna emissione di CO2): turchese appunto;
  • l’idrogeno rosa, o viola, o addirittura rosso, è quello prodotto per via elettrolitica usando energia nucleare (qualcuno, come detto, lo chiama giallo);
  • per idrogeno bianco s’intende, infine, sia quello prodotto dai rifiuti (per esempio attraverso la gassificazione), sia quello naturale, derivante da fenomeni geologici.

Insomma: tanti colori, spesso ambigui (e ne mancano di certo alcuni, dal momento che ogni tanto qualcuno ne inventa di nuovi), per un’unica molecola incolore. In fondo, le uniche categorie ormai universalmente riconosciute sono il grigio (da fonti fossili), il blu (da fonti fossili con cattura della CO2) e il verde (da fonti rinnovabili).

Fonte o vettore?

Un altro aspetto su cui spesso si fa confusione: molti sostenitori dell’idrogeno lo promuovono come la fonte di energia capace di risolvere tutti i problemi. L’abbiamo detto: è l’elemento più diffuso dell’universo. Ma è una molecola instabile e reagisce facilmente con l’ossigeno o con altri elementi, per cui sulla Terra non si trova quasi mai da solo. Per isolarlo serve energia, molta più di quella che può essere prodotta utilizzandolo.

Insomma: l’idrogeno non è una fonte di energia. È un vettore, un mezzo per stoccare l’energia, trasportarla e fornirla a certi tipi di utenze. Ed è anche un importante elemento per l’industria chimica (vedremo più avanti come).

Piccola precisazione: di idrogeno come fonte di energia si può parlare solo nel caso dei giacimenti naturali di questo gas. Potrebbero essere tanti, ma oggi, al mondo, se ne conosce con sicurezza solo uno

Stoccaggio e trasporto

Se la confusione sui colori e sulla natura dell’idrogeno è data da un uso ambiguo e spesso improprio dei termini, sui sistemi di stoccaggio e soprattutto di trasporto si danno spesso informazioni volutamente faziose e distorte, spesso come strategia di “green washing” (il ripulire l’immagine della propria azienda pitturandone la facciata di verde).

Partiamo da un presupposto: i vecchi gasdotti, progettati per il metano, non possono trasportare idrogeno, se non in percentuali bassissime (fino al 2%, con qualche studio che indica il 10 o il 15% come concentrazione massima). Questo perché la molecola, piccolissima, si insinua nella struttura cristallina degli acciai, infragilendoli.

Il “blending” dell’idrogeno (ossia proprio la miscelazione con metano ai fini del trasporto) è oggi giustamente considerato, soprattutto dall’Unione europea, come uno strumento per aumentare la domanda di idrogeno verde e stimolare così la diffusione degli impianti di produzione. Ma non si tratta di una soluzione a lungo termine: per raggiungere gli obiettivi della neutralità climatica, l’impiego del metano (anche se in miscela con l’idrogeno) andrà via via ridotto, limitandolo esclusivamente ai pochi casi in cui non se ne può proprio fare a meno.

È essenziale, dunque, sviluppare nuovi gasdotti specificamente progettati per l’idrogeno.

Lo stoccaggio rappresenta l’altro problema chiave. L’idrogeno è una molecola leggera e volatile, che ha un potere calorifico molto alto in termini di massa (120 MJ/kg, oltre il doppio rispetto al metano puro: 50 MJ/kg) ma molto basso in termini volumetrici (10 MJ/m3, meno di un terzo dei 34 MJ/m3 del metano). Per stoccarne quantità appena significative è dunque necessario comprimerlo (anche oltre i 700 bar) o raffreddarlo (per stoccarlo in forma liquida sotto i 253 °C). In entrambi i casi è necessaria molta energia per la compressione o il raffreddamento. E, in entrambi i casi, si tratta di quantità relativamente piccole, atte allo stoccaggio giornaliero o al più settimanale.

Quello che ancora manca sono le tecnologie affidabili per lo stoccaggio stagionale. La produzione di idrogeno verde è infatti determinata in gran parte dalla disponibilità di energia elettrica da sole e vento. Lo stoccaggio stagionale diventa dunque essenziale per poter accoppiare la domanda con l’offerta nell’arco dell’anno. Sono in fase di studio sistemi di stoccaggio a pressione medio-bassa in ampie cavità del sottosuolo (per esempio gallerie di miniere dismesse) o addirittura di confinamento geologico in serbatoi di gas naturale esausti. Ma, al momento, nessuna di queste opzioni è disponibile concretamente.

Ma a cosa serve realmente?

Abbiamo accennato all’idrogeno come panacea di tutti i mali. Eppure, oggi, la domanda mondiale di questo elemento è ancora molto limitata. Al mondo se ne producono circa 90 milioni di tonnellate all’anno, di cui 45 sono usate nell’industria chimica soprattutto per la produzione di metanolo e ammoniaca, 40 sono impiegate per la raffinazione del petrolio e 5 nell’industria dell’acciaio. E solo una quantità irrisoria (20.000 tonnellate all’anno, corrispondenti allo 0,02% del totale) è oggi usata nel settore dei trasporti. A parte quantità marginali, si tratta sempre di idrogeno grigio: produrne 1 kg dal gas naturale comporta l’emissione in atmosfera di circa 10 kg di CO2, valore che raddoppia nel caso della produzione da carbone. E allora perché l’idrogeno (quello “pulito”, s’intende) è così interessante?

Finora, è vero, gli utilizzi sono molto limitati, seppure in forte crescita. Tra i settori attuali, quello con i maggiori margini di sviluppo riguarda la produzione dell’ammoniaca, a sua volta impiegata per la produzione dei fertilizzanti. In questo senso, l’idrogeno verde è essenziale per la decarbonizzazione di un mercato in forte espansione. In prospettiva, tuttavia, si tratta di un vettore energetico chiave soprattutto per la decarbonizzazione dei settori cosiddetti “hard-to-abate”, particolarmente critici nell’ottica della transizione: i trasporti pesanti e numerosi comparti industriali.

Come? Due sono le opzioni: l’impiego diretto come combustibile (o reagente per l’industria chimica) oppure la sua conversione in altri combustibili rinnovabili, i cosiddetti “e-fuels” (metano, metanolo, benzina, cherosene e molti altri).

Lo sviluppo delle celle a combustibile consente un impiego diretto molto efficiente dell’idrogeno per il trasporto ferroviario o per i mezzi pesanti su strada (autocarri, autobus, mezzi industriali). Tanto più che il prodotto della sua combustione è solo acqua. Le celle riconvertono l’idrogeno in energia elettrica (con il vapore acqueo come unica emissione), che viene usata per alimentare i motori elettrici dei mezzi di trasporto.

Ancora più promettente, in prospettiva, è l’impiego indiretto. Si pensi, per esempio al trasporto aereo: oggi i motori degli aerei sono alimentati con cherosene, prodotto dal petrolio. Come decarbonizzare un settore che da solo è responsabile di circa il 2% delle emissioni mondiali di CO2? Le batterie, tra i vari problemi, son troppo pesanti, poco affidabili e garantiscono un’autonomia limitata. L’uso diretto dell’idrogeno richiederebbe la sostituzione dei motori e il completo ripensamento dei sistemi di gestione del combustibile (stoccaggi, distribuzione, rifornimenti). La soluzione è molto più semplice e molto meno costosa: anziché produrre il cherosene dal petrolio, lo si produce dall’idrogeno verde e dall’anidride carbonica catturata dall’aria. Le nuove direttive europee hanno tracciato la strada in questo senso. Così come la strada è tracciata per il trasporto navale, per il quale si va verso altri combustibili derivati dall’idrogeno verde, quali il metanolo e l’ammoniaca.

E quanto costa?

Infine, il tasto dolente: il costo.

Secondo l’Agenzia Internazionale per l’Energia (IEA), produrre un chilogrammo di idrogeno dal gas naturale (idrogeno grigio) oggi costa tra 0,5 e 1,7 dollari e la separazione della CO2 (idrogeno blu) comporta un aumento del costo di produzione fino a 2 dollari. L’idrogeno verde è molto meno competitivo: oggi produrlo costa mediamente dai 3 agli 8 dollari al chilogrammo. Ma non è così dappertutto.

Circa tre quarti del costo di produzione dell’idrogeno dipendono dal prezzo dell’energia rinnovabile. E ci sono aree geografiche e fasce temporali in cui l’energia elettrica costa già pochissimo. Si pensi per esempio al Nordafrica, dove si hanno durante tutto l’anno molte ore di sole, o in Sudamerica (specialmente nella Patagonia argentina e cilena), con 6000 ore di vento all’anno (il triplo rispetto a quanto avviene mediamente in Europa). In queste condizioni, già oggi, il costo di produzione dell’idrogeno verde può scendere a 2-3 dollari al chilogrammo.

Ma non è tutto. Nei prossimi decenni la transizione energetica si prevede possa stravolgere il mercato dell’idrogeno verde. Piu impianti a fonti rinnovabili comporteranno un prezzo più basso del chilowattora di elettricità verde. In parallelo, la produzione in serie degli elettrolizzatori, supportata dai tanti investimenti di risorse pubbliche e private, comporterà un notevole abbattimento dei costi. Già al 2030 ci si aspetta un dimezzamento del costo di produzione dell’idrogeno verde rispetto ai valori attuali: 1,3-3,5 dollari al chilogrammo, sempre secondo le stime IEA. Prezzo che sarà ancora più competitivo al 2050: tra 1 e 3 dollari.

Insomma: la strada è ancora lunga, ma le cose, in tema di idrogeno verde, stanno cambiando molto rapidamente. Anche grazie a una serie di provvedimenti politici e legislativi finalizzati a promuoverne lo sviluppo. Proprio per questo la consapevolezza della vera natura dell’idrogeno è un aspetto essenziale per la transizione energetica. APettinau

Questo lavoro è stato finanziato dal Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica attraverso la Ricerca di Sistema Elettrico Nazionale (RdS)

Piano Triennale di Realizzazione 2022-2024

Progetto integrato 1.3: Tecnologie dell’Idrogeno

 

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